A volte si pensa che l’arte sia un rifugio, un altrove dove dimenticare il mondo.
Per molti dei ragazzi di PerformArti è stato l’opposto: un modo per affrontarlo.
Creare, provare, sbagliare, condividere. Tutto questo non serve solo a fare spettacolo, ma a imparare a vivere dentro la complessità.
L’arte diventa così una palestra invisibile, un allenamento alla realtà.
Nel percorso del progetto, ogni laboratorio, ogni incontro, ogni performance ha lasciato un segno.
C’è chi ha imparato a parlare davanti a un pubblico, chi ha scoperto la forza del lavoro di gruppo, chi ha capito che la creatività non è un talento, ma un esercizio quotidiano di presenza.
Tutti, in modi diversi, hanno portato a casa qualcosa che va oltre la tecnica: fiducia, ascolto, curiosità.
Viviamo in un tempo che chiede velocità, risultati, risposte.
Ma nei laboratori di PerformArti si è riscoperto il valore del processo: il tempo dell’attesa, della collaborazione, dell’imprevisto.
Lì dentro si impara a stare nel mondo con un passo diverso, più attento, più autentico.
A riconoscere che la fragilità non è un limite, ma una parte del coraggio.
Guardando indietro, il progetto sembra un grande mosaico di esperienze: scatti, suoni, testi, performance, sorrisi, silenzi.
Una mappa di tutto ciò che i giovani hanno costruito insieme, con l’arte come bussola.
E guardando avanti, resta un’unica certezza: che ogni volta che si crea, si cresce.
Non perché si diventa artisti, ma perché si impara a stare nel mondo con occhi nuovi.
PerformArti non finisce con un evento, ma continua in chi lo ha vissuto.
Nel modo in cui guarderanno la luce, ascolteranno i suoni, cammineranno per le strade della loro terra.